Quando un Oste partiva da Roma per andare ai Castelli a scegliere il vino da comprare per la sua Osteria, visitava qualche cantina di produzione assaggiando diversi vini e spesso usciva la signora con un cestino di finocchio affettato che diceva:
“pulitevi la bocca con due pezzetti di finocchio fresco”.
Questo trucco faceva sembrare un bianco scarso di ottima qualità.
Tornando a Roma col vino acquistato (portato dal Carrettiere a Vino) veniva rimproverato dalla moglie che gli diceva:
“questo vino non vale nulla, Ti hanno infinocchiato”
e lui si difendeva con una frase comica rimasta storica:
“ma che dici, è che questo vino non si può trasportare”.
Avendolo ormai acquistato e volendo rifilare questo vino non eccelso a dei clienti prima portava loro del finocchio raggirandoli come era successo con lui.
E se le pietanze che aveva intenzione di servire non erano proprio freschissime anzi un po’ rancide, le ricuoceva condendole con abbondante finocchio. Così i sapori autentici venivano coperti dall’infida verdura e gli infinocchiati mangiavano, bevevano ed erano tutti contenti.
Questi esempi della tradizione da cui la parola – forse – nasce, possono essere presi a paradigma dell’infinocchiamento: una disonestà furbastra ignobile per chi la trama e certo non lusinghiera per il tonto che ci casca.
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