I nostri modi di pensare il labirinto seguono
percorsi tortuosi. Tanto per cominciare, vi sono diversi tipi di labirinto.
Santarcangeli ne elenca moltissimi, ma per comodità di discorso vorrei identificare tre modelli
fondamentali. Il primo è il labirinto detto “unicursale“: a vederlo dall’ alto sembra un intrico
indescrivibile e a percorrerlo si
è presi dall’ angoscia di non poterne mai più uscire, ma in effetti il suo
percorso è generabile con un
algoritmo molto semplice, perché esso altro non è che un gomitolo a due capi, e
chi vi entra da una parte non potrà che uscire dall’altra.
Questo è il labirinto classico che non avrebbe
bisogno di filo d’Arianna perché è esso stesso il filo d’Arianna di se stesso.
Per questo al centro vi dovrà essere il Minotauro, per rendere l’intera vicenda
meno monotona. Il problema posto da questo labirinto non è “da quale parte
uscirò?” bensì “uscirò?”, ovvero, “uscirò vivo?”.
Questo labirinto è immagine di un
cosmo difficile da vivere, ma tutto sommato ordinato (c’è una mente che lo ha
concepito). Il secondo tipo di labirinto “manieristico”:
se sfilate il labirinto classico unicursale vi trovate tra le mani un filo, ma
se riuscite a dipanare il labirinto manieristico non vi trovate tra le mani un
filo, ma una struttura ad albero, con infinite ramificazioni, il novantanove
per cento delle quali porta a un punto morto (solo un corno di un solo dilemma
binario porta all’uscita). Labirinto difficile, perché può accadervi di tornare
all’infinito sui vostri passi, e che impone calcoli complessi per trovare una regola che consenta di
individuare l’uscita. In teoria la regola c’è, perché il labirinto
manieristico, anche se ha un interno assai complesso, ha un dentro e un fuori.
Terzo viene il “rizoma”, o la rete
infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro punto e la successione
delle connessioni non ha termine teorico, perché non vi è più un esterno o un
interno: in altri termini, il rizoma può proliferare all’infinito.
Inoltre potremmo immaginarlo come una palla di
burro, senza confini, all’ interno della quale posso perforare senza troppa
fatica una parete che separa due condotti creando per ciò stesso un nuovo
condotto.
Il che equivale a dire che nel rizoma anche le
scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia contribuiscono a complicare il
problema. Se anche una Mente può aver pensato il rizoma, non ne avrà però
pensata e stabilita in anticipo la struttura. Il rizoma è come un libro in cui
ogni lettura cambi l’ordine delle lettere e produca un nuovo testo. E se l’idea
di rizoma è assai recente, quella di un libro di tal fatta è molto più antica,
e la troviamo nella tradizione cabalistica (anche se per i cabalisti rimaneva
ferma la fede in una struttura finale del libro che avrebbe dovuto adeguare il
progetto iniziale della creazione. Ora possiamo dire che tutto il Pensiero
della Ragione, dalla Grecia sino alla scienza ottocentesca, si è proposto come
pensiero di una Legge o di un Ordine che dovrebbe ridurre la complessità del
Labirinto. Il labirinto veniva evocato dall’ immaginazione, mentre il Pensiero
della Ragione cercava di rimuoverlo. Naturalmente, quanto più il Pensiero della
Ragione cercava di rimuoverlo, tanto più l’immaginazione mistica – ovvero il
Pensiero del Mistero – lo riproponeva – e la storia del pensiero ermetico,
dalla Cabbala attraverso il Rinascimento, sino ai giorni nostri, è presente a
testimoniarlo. Da un lato la Razionalità, che voleva ridurre la complessità del
Labirinto, dall’altro la cosiddetta Sapienza, che voleva conservare immutata la complessità
dell’Irrazionale.
Una caratteristica di molto pensiero
contemporaneo è invece quella di elaborare tecniche di Ragionevolezza per
muoversi nel labirinto, senza rimuoverne l’immagine, senza volerlo ridurre a un
ordine definitivo, e tuttavia senza abdicare alla necessità di disegnarvi percorsi praticabili. Agli
opposti ideali dei Distruttori del Labirinto e delle Vittime (magari complici) del
Labirinto, possiamo contrapporre una scienza media che si propone di convivere
umanamente col e nel labirinto.
Ricapitolando:
1) Unicursale (gomitolo a due capi – il filo di Arianna).
2) Manieristico (ad albero – tutti rami secchi meno uno).
3) Rizoma (come una radice a forma di palla)
Cito per
tutti il tracciato inestricabile di strade che si può definire come un dedalo
(termine chiaramente nato dalla figura del mitico Dedalo, il leggendario
costruttore del labirinto di
Creta per il re Minosse, il più noto tra quelli dell’antichità).
Cos’è il labirinto?
Nell’antichità
il labirinto simboleggiava il caos primordiale e lo sforzo di imporgli un ordine. Il suo disegno spiraliforme
ricorda un serpente arrotolato, le viscere, ma anche i meandri del cervello. Poiché
da sempre investito di poteri magici, propiziatori e protettivi, non esiste
cosmogonia o mito fondatore in cui non sia presente. Allo stesso tempo il
labirinto è stato associato al pericolo
dello smarrimento, del disorientamento; chi vi entra rischia di rimanerci
intrappolato.
In breve, il
labirinto è per eccellenza l’emblema universale della ricerca dell’infinito, e dunque del “plus ultra”, del
non-limite da parte di noi esseri finiti e limitati.
Chi lo
percorre o contempla, diventa consapevole che il confine fra umano e divino, fra finito e infinito, è misteriosamente
permeabile. Non a caso la sua unica apertura, ingresso e uscita, ci tenta
irresistibilmente al transito.
I romani
amplificano il labirinto cretese dividendo il cerchio o quadrato in quattro
zone con un percorso unico che le attraversa successivamente. E’ spesso legato
a riti funebri, alla discesa agli inferi, come anche ai riti di fondazione di
nuove città. Sembra, infatti, un mappa stradale di una città ben ordinata e
suddivisa come per esempio Roma, i cui primi quattro
quartieri rispecchiano inequivocabilmente la forma della croce disegno romano.
Al labirinto
vengono attribuiti anche poteri magici, scaramantici e propiziatori, nelle cui
spire vengono attirati e intrappolati gli
spiriti maligni. L’originario significato sacro lascia comunque sempre maggiore
spazio a funzioni sociali e ludici.
Nel Medioevo
(XII-XV. Sec.) il labirinto subisce una profonda e durevole trasformazione in
chiave cristiana, tant’è che una formula iniziatica dell’epoca suonava “il
labirinto come vita, la vita come labirinto”.
La Chiesa
riscopre la potente forza trasformatrice
di questo disegno arcaico sulla psiche umana
e lo propone come strumento meditativo, come simbolo di vita, morte e rinascita in Cristo. Diventa
centrale il simbolismo della croce come principio ordinatore. Evocando la Via
Crucis che ogni peccatore è chiamato a seguire, il percorso verso il centro
s’interseca ripetutamente lungo le assi della croce. Allo scopo di renderlo fisicamente
percorribile il labirinto è spesso incastrato nel pavimento delle cattedrali gotiche, raggiungendo
anche diametri di 13 metri, come nel caso del più famoso esemplare di questo
genere, quello di Chartres.
Per il devoto
percorrerlo significa compiere un viaggio intensamente spirituale. Difatti, fu anche chiamato “La via di Gerusalemme”, perché
poteva sostituire il lungo e pericoloso pellegrinaggio in Terra Santa. Il
percorso dentro il labirinto, spesso in ginocchio, diventa un cammino di
penitenza ed espiazione verso la fede salvifica; i suoi intricati meandri simboleggiano
il pericolo della perdizione, delle tentazioni del male. Le analogie con il mito
cretese non mancano: così il centro era abitato da Satana (Minotauro), che
può essere sconfitto solo con la forza della fede in Cristo (Teseo) portatore
del raggio luminoso della divina speranza (filo di Arianna). Allo stesso tempo il centro era
anche l’approdo alla Città di Dio, dove attuare la conversione e
incamminarsi sulla strada della salvezza. La parola chiave era ubbidienza;
perciò il labirinto medievale non può che essere monocursale. La “retta via” per
raggiungere la beatitudine è una sola ed è percorribile in un solo modo:
obbedendo la Chiesa e rimanendo scrupolosamente dentro i confini del recinto
dell’ortodossia.
Arriviamo al
Rinascimento che segna una svolta drastica nel simbolismo del labirinto e vede sbiadire i contenuti esclusivamente
religiosi.
In questa
nuova accezione il labirinto lascia gli spazi sacri e arriva in quelli profani,
lascia chiese e monasteri ed entra come ornamento e passatempo ludico in
palazzi e giardini. Creato con
siepi sempreverdi, al riparo dall’avvicendarsi delle stagioni nell’illusione di poter sospendere
il tempo, rispecchia così il tentativo dell’uomo di domare il caos, il tempo e la
natura.
Il labirinto moderno e contemporaneo.
Dopo una
lunga fase di declino durante l’illuminismo, che elegge l’Arcadia come metafora
del mondo, è solo dall’inizio del Novecento che il labirinto torna di moda,
questa volta nelle case e nei giardini della ricca borghesia in cerca di
promuoversi nella scala sociale adottando modelli nobili. Come ornamento
divertente e svuotato di qualsiasi riferimento
sacro o contemplativo approda presto anche nei luoghi pubblici.
Nela versione
contemporanea il labirinto si è trasformato in un rizoma, in una rete, la cui espressione più
emblematica è “Internet”, ormai
assurto allo status di cosmogramma
universale di un mondo estremamente complesso e mutevole.
Infine il termine LABIRINTO
La parola
deriverebbe da Labrys: la doppia
ascia che a Creta era l’emblema del potere regale e aveva la forma di due
quarti di luna opposti, a simboleggiare il potere di vita e di morte della
divinità lunare matriarcale.
La tavoletta
di argilla ritrovata tra le rovine del palazzo di Nestore, a Pilo, rende
plausibile l’ipotesi che la figura del labirinto sia stata formulata da
un’unica cultura che si sarebbe poi diffusa, durante il suo periodo di massimo
splendore, attraverso un’intensa rete di migrazioni e influssi culturali. E’
nell’area del bacino mediterraneo che si trova la maggior parte dei labirinti
antichi.
Presso la
civiltà Babilonese, la forma circolare della spirale, pare fosse una
elaborazione stilizzata delle viscere degli animali che, una volta offerti in
sacrificio agli dei, venivano poi usati
a scopi divinatori.
L’Egitto
aveva il “labirinto celeste”, nel quale venivano spinte le anime dei dipartiti, di cui esisteva un esemplare
anche sulla terra; il famoso Labirinto, formato da una serie di sotterranei,
antri e passaggi con le più intricate giravolte. Erodoto lo descrive composto
da tremila camere, metà sotto e metà sopra la superficie della terra.
Nella sfera
culturale della Grecia classica il labirinto era concepito come un tracciato di un edificio (a forma quadrangolare), ma era
soprattutto il risultato dell’opera ingegnosa e straordinaria dell’architetto
Dedalo. Il percorso al suo interno diventa la materializzazione di una prova
iniziatica traducibile come viaggio che conduce al centro, ovvero al luogo sacro per
eccellenza che esprime la speranza di una rinascita.
Un rinnovato
interesse per il concetto del labirinto, venne successivamente accolto dal Novecento. Anche il linguaggio ne
è stato sconvolto, visto che non si sospettava l’esistenza di questo nuovo
“continente interiore”, che è stato parzialmente decifrato e reso comprensibile. Ad analoghe
posizioni giungono gli scrittori del Novecento: eclatante è l’esempio di Luigi
Pirandello che, con le sue opere letterarie, ha voluto dimostrare come la
verità sia solo un punto di vista che varia da individuo a individuo.
Il labirinto come simbolo esoterico
Molti disegni
antichi di ordine esoterico, alcuni dei quali presenti anche nelle grandi
cattedrali, mostrano il labirinto. I problemi della vita appaiono spesso
all’uomo comune come un intricato labirinto, nel quale è difficile imboccare la
giusta direzione, se non dopo aver compiuto molti tentativi ed errori ed averne
pagato le conseguenze. Se si potessero però vedere le cose da altri punti di
vista, ad esempio salendo su una piccola altura, il labirinto rivelerebbe subito
la sua ingannevole struttura e sarebbe molto più facile trovare l’uscita.
Questa
metafora ci vuol dire che l’uomo non evoluto è ancora completamente chiuso nei
propri schemi mentali, come se fosse intrappolato in un labirinto, incapace di vedere una situazione
in modo obiettivo; al contrario, chi è spiritualmente elevato saprà vedere le
cose da più punti di vista, le proietterà avanti nel tempo e nello spazio e darà loro la giusta importanza,
avrà perciò grande capacità di sintesi, riuscendo a trovare la soluzione più diretta.
Più alta sarà
la posizione e più lo sguardo potrà spaziare lontano, e comprendere una porzione sempre più vasta
dei labirinti della propria vita, fino a vedere anche come questi si intrecciano con
quelli delle vite delle persone vicine.
Una possibile interpretazione
La
rappresentazione del labirinto in molte iconografie antiche coincide con la descrizione della
città di Atlantide, fornita da Platone nel Crizia, con una struttura ad anelli concentrici equidistanti,
due di terra e tre di acqua alternati, rendendo impossibile arrivare all’Isola
col Palazzo Reale, dato che ancora non esistevano navi e navigazione. Poi (i sovrani di
Atlantide) gettarono ponti sugli anelli di mare che circondavano l’antica
metropoli e fecero una strada che permetteva di entrare ed uscire dal palazzo reale.
La complessità nelle forme espressive: il
Labirinto
L’arte (in
tutte le sue forme) si è sempre distinta per analizzare, con interpretazioni
soggettive e personali, i più svariati concetti: dal rapporto bene e male, che
permea buona parte di opere letterarie e pittoriche di ogni tipo, al cibo e
alle sue varie forme, passando per l’amore, l’odio, la bellezza, l’angoscia e,
addirittura, la stupidità umana.
Se ci
avviciniamo al tema della “complessità”, di ciò che è difficile e ostico, sia
esso il tentativo di
rispondere a domande filosofiche del tipo “Chi siamo?”, “Dove andiamo?”, “Cos’è
l’amore?”, sia che si faccia riferimento a problematiche più concrete come quelle di
“scoprire” o “inventare” o, più banalmente, risolvere un esercizio matematico, uno dei
simboli che, per la sua stessa natura, è da sempre effige definitiva di
concetti quali “difficile, strano, insuperabile” è quello di labirinto.
Che esso sia
disegnato, costruito o semplicemente descritto, il “dedalo” è da sempre
l’emblema, sin dall’antichità, di un problema di difficile (se non impossibile)
soluzione, di un’impresa dalla quale non si può uscire vincitori, di una lotta
in cui la sconfitta è
quasi inevitabile.
Il labirinto come “luogo architettonico”:
la metafora di un problema dal quale non vi è
uscita.
La Relatività
di Einstein è la teoria che meglio spiega la correlazione tra due branche
scientifiche), mostra come il labirinto, esteso in un mondo a quattro (o forse
più) dimensioni, dove è impossibile discernere tra concetti di alto e basso,
destra e sinistra, avanti e dietro, rappresenti l’interpretazione della
complessità del mondo in cui viviamo, all’interno del quale le percezioni
sensoriali possano portarci la realtà in modo differente da come essa
effettivamente è, semplificando una visione che, altrimenti, potrebbe trovarci
incapaci di interpretarla e, in alcuni casi, portarci alla follia.
Il labirinto come “concetto mentale”: la
follia.
Proprio il
tema della pazzia è strettamente legato, soprattutto in letteratura, al
concetto di dedalo, attraverso il concetto di “labirinto della mente”, in cui
la metafora è intesa per definire la fitta trama (sia in senso biologico che
filosofico) dei pensieri e del modo in cui essi si muovono dentro di noi.
Una
condizione in cui sorgono spontanee domande su cosa sia lecito e cosa no, su
quali siano le strade da percorrere, al fine di vivere una vita che non risulti
un “limbo” in cui rimanere
impantanati per tutta la propria esistenza.
E proprio per
rispondere ad una tale domanda, viene in soccorso la ragione che dovrebbe, in
ogni caso, anche in presenza delle più ardue difficoltà, portarci alla
soluzione del mistero, a permetterci di trovare l’unica e sola via d’uscita da
dedalo in cui siamo
invischiati: Umberto Eco, nelle fasi
finali del “Nome della Rosa”, mostra
i protagonisti, che fino ad allora si sono mossi come due abili detective,
invischiati in un problema di
difficile soluzione, quello di orientarsi nel labirinto di torri e corridoi
della parte alta della Biblioteca del monastero, al fine di scoprire il
colpevole delle morti
avvenute nell’Abbazia nei giorni del loro soggiorno.
Una metafora
che ci porta al punto da cui siamo partiti, il concetto di labirinto come luogo che simboleggia la
difficoltà della vita, e a cui siamo tornati girovagando in un intrico di
cunicoli, svolte impreviste, vicoli ciechi come sempre è l’esistenza umana. Per
ricordare che il labirinto, in fondo, è qualcosa che fa parte di noi e che la sua soluzione deve spingerci,
in ogni momento, a migliorarci e renderci più forti, andando contro le
avversità e sconfiggendo le nostre paure.
Il labirinto della cappella di Sansevero di
Napoli
L’arte si
mostra come un luogo privilegiato in cui convergono le tendenze rivoluzionarie
generate dal clima della nuova stagione culturale che rinnova e restaura
scienza e filosofia. E’ proprio lungo questa direttrice che il Futurismo,
l’Astrattismo, il Dadaismo e il Surrealismo attuano la
più vasta e graffiante messa in discussione dell’opera d’arte classica.
Nel pavimento è rappresentato un labirinto
prodigioso nella sua realizzazione perché creato da un unica linea bianca
continua, senza giunture, un’altra delle idee straordinarie di Raimondo di
Sangro, che fu davvero un innovatore in tutti i campi.
Ad oggi rimane purtroppo ben poco a causa di un
crollo nel 1889 che lo danneggiò gravemente.
Ne è rimasta una parte davanti alla tomba del
Principe di San Severo, alcuni tratti si trovano anche nella Cavea
sotterranea e in Sagrestia.
Il disegno consiste in un’alternanza di croci
gammate (svastiche) e quadrati concentrici in prospettiva. Non è un tema
casuale da parte di Raimondo che ne ha ricoperto addirittura il pavimento, il
labirinto è il simbolo per eccellenza del percorso iniziatico, attraverso il
quale si cerca la via di uscita verso la verità.
Tema molto
caro ai Cavalieri Templari, luogo
della ricerca del Graal, in Italia e
nel mondo ne troviamo di diverse tipologie, spesso in luoghi ben precisi, come
dimore filosofali o magioni dei Cavalieri
dell’Ordine. Rappresenta il nostro cammino, i bivi a cui siamo sottoposti
ogni giorno, le nostre scelte che però fanno parte di un unico grande disegno
labirintico, all’interno del quale dobbiamo saper scegliere saggiamente
affinché non ne restiamo prigionieri, ma riusciamo ad uscirne vittoriosi per
aver, con coscienza e
conoscenza, intrapreso la strada corretta.
Ricerca di Giancarlo Bertollini
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