Roma, 26 apr – Trenta anni fa, l’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl. Da allora, esperti e opinione pubblica di tutto il pianeta non hanno cessato di interrogarsi sui rischi e i benefici del nucleare, con fiumi di inchiostro versati pro e contro. Poco è conosciuto però in Italia e in occidente delle storie di chi, nei primi minuti e ore della catastrofe combatté per contenerla, trovandosi – letteralmente – a guardare negli occhi il nucleo scoperto dell’Uranio, e rimanendone, come nel mito di Medusa, pietrificato per l’eternità. Sono conosciuti come “Coloro che salvarono il mondo”: il personale tecnico e militare in servizio quella tremenda notte del 26 aprile 1986, presso il reattore 4 della centrale nucleare di Cernobyl, e i “Liquidatori”, le decine di migliaia di uomini e donne che negli anni successivi cercarono di bonificare la zona intorno alla centrale e alla vicina città di Prypjat, ancora oggi una città fantasma.
La maggior parte del personale della centrale morì nei giorni successivi all’incidente, a causa delle massicce dosi di radiazioni assorbite al momento dell’esplosione del reattore e nei tentativi di contenere i danni: con la maggior parte dei sistemi di sicurezza fuori uso, ingegneri, operatori e militari dovettero esporsi consapevolmente alle radiazioni, alcuni addirittura arrivando a contatto visivo con il nocciolo aperto del reattore nel tentativo di abbassare manualmente le barre di controllo, come fecero il caposquadra Ivanovich Valery Perevozchenko e i tecnici Kudryavtsev e Proskuryakov, e il loro capo turno Fëdorovič Aleksandr Akimov, nato nel 1953: al pannello della sala di controllo del reattore al momento dell’esplosione assieme all’ingegnere per la gestione del reattore Leonid Toptunov, ha ricevuto la dose fatale di radiazioni durante i tentativi di riavviare il flusso di acqua nel reattore, operando per diversi minuti nonostante avesse ustioni da radiazioni sul 100% del corpo, e il responsabile di reparto Grigoryevich Aleksandr Lelechenko, nato nel 1938: appena arrivato nella sala di controllo centrale al momento dell’esplosione al blocco 4, al fine di risparmiare ai suoi colleghi più giovani l’esposizione alle radiazioni si recò attraverso l’acqua e i detriti radioattivi per ben tre volte, per spegnere gli incendi agli elettrolizzatori e l’alimentazione dei generatori a idrogeno, quindi cercò di togliere la tensione di alimentazione alle pompe di acqua potabile; dopo aver ricevuto soccorso, ritornò allo stabilimento e vi lavorò per diverse altre ore prima di crollare.
Stessa abnegazione mostrò l’operatore alla turbina Hryhorovich Kostyantyn Perchuk; nella sala turbine al momento della esplosione, ha ricevuto la dose letale (più di 1.000 rad) durante la lotta contro l’incendio e la stabilizzazione della sala turbine, morendo in ospedale a Mosca il mese seguente. Insignito dell’Ordine “Per il coraggio”, fu irradiato assieme all’ispettore delle turbine e macchinista Vasylyovych Oleksandr Novyk e all’operatore Vyacheslav (Slava) Stefanovych Brazhnik, tutti deceduti, da un residuo di combustibile depositatosi su un trasformatore nei pressi del turbogeneratore nel corso dell’apertura manuale della valvola di emergenza di scarico dell’olio turbina.
Mentre questi tecnici e il loro colleghi cercavano di domare il nucleo impazzito, i pompieri cercavano di domare gli incendi e di raffreddare il reattore: ustioni da radiazione stroncarono il tenente della squadra del primo equipaggio pompieri Pavlovych Vladimir Pravik, nato nel 1962, che operò sul tetto della centrale, esaminando più volte il reattore e il tetto della unità C al livello 71 per dirigere le operazioni antincendio. Dopo aver ricevuto la dose fatale durante il tentativo di spegnere il tetto e il nocciolo del reattore, morì due settimane dopo all’Ospedale 6 di Mosca, con gli suoi occhi trasformati dal marrone al blu per l’intensità delle radiazioni. Fu insignito del titolo di “Eroe dell’Unione Sovietica” nel 1987. Tra i suoi pompieri caduti, ricordiamo il sottotenente Viktor Mykolayovych Kibenok, caposquadra della seconda unità, impegnato nella lotta contro gli incendi nel locale reattore, nella sala separatore, e nella sala centrale, insignito postumo “Eroe dell’Unione Sovietica”, e i pompieri Ivanovych Volodymyr Tishchura, deceduto per ustioni da radiazione dopo aver lottato contro gli incendi nel reparto del reattore, nella camera di separazione, e nella sala centrale, e Nikolai Ivanovych Titenok, morto due settimane più tardi in un ospedale a Mosca per ustioni da radiazioni alla pelle e agli organi interni, incluse delle vesciche al cuore: ricevette la dose fatale durante il tentativo di spegnere le fiamme sulla copertura e il nocciolo del reattore.
In questa sequenza di eroismo e tragedie, non manca quella nota di tragicommedia tipicamente russa: infatti, un eroe involontario si dimostrò il sessantenne capo dei vigili del fuoco centrale Leonid Petrovich Telyatnikov: arrivò sulla scena ubriaco di vodka richiamato da una festa di compleanno per il fratello ma si prodigò tanto nei soccorsi da essere insignito dell’ordine “Eroe dell’Unione Sovietica”, e sopravvisse pure alle radiazioni, morendo nel 2004. Oltre a quelli ricordati sopra, un’altra ventina di lavoratori e pompieri furono irradiati direttamente durante l’incidente e morirono nel mese successivo per le radiazioni e ustioni riportate, spesso seppelliti in bare di piombo. Sono quasi tutti sepolti in un cimitero a Mitino alla periferia di Mosca, presso un monumento; i loro volti sono incisi sulle rispettive semplici tombe: i volti di “Coloro che salvarono il mondo”.
Andrea Lombardi
from Blogger http://bit.ly/2UJ8Z9c