Come racconta in quest’intervista, nel suo nuovo libro Simona Teodori ha voluto raccontare l’universo femminile per dare risalto e spessore alle donne, come se ci trovassimo di fronte a un altorilievo.
Simona Teodori è nata e vive a Roma, dove esercita la professione forense. Nel 2014 esordisce con “Voci Partigiane”, Edizioni della Sera; nel 2016 partecipa a due antologie con Perrone Editore e l’Erudita Edizioni. Nel dicembre 2016 è uscito “Figlie di Eva” (L’Erudita Edizioni, 2016, pp. 57, euro 11,00), raccolta di sei racconti ciascuno dei quali ha come titolo un nome di donna (Nives, Gaia, Claudia, Eliane, Elizabeth, Rosina).
“Mi sentivo un guerriero spartano, con la faccia dura sotto la guida dei flauti verso la guerra e magari la morte”.
Sei diverse personalità femminili per sei storie emblematiche che colpiscono il cuore del lettore.
“Ho voluto raccontare l’universo femminile per dare risalto e spessore alle donne come se ci trovassimo di fronte a un altorilievo”
dichiara l’autrice da noi intervistata.
- Simona, com’è nata l’idea di “Figlie di Eva”?
A giugno ho vinto un premio letterario per la casa editrice Giulio Perrone con un racconto per l’antologia “Un’estate a Roma”. In seguito il mio racconto è stato fra i tre premiati dell’antologia “Un’altra parola”, per L’Erudita, marchio della casa editrice Giulio Perrone. Poi mi hanno chiesto qualcosa di mio per farlo uscire da solo. È stato in quel momento che ho compreso che volevano pubblicarmi, praticamente un mese prima dell’uscita del libro. Quindi ho lavorato velocemente. La raccolta è composta solo da 57 pagine, tutte scritte con passione, dalla prima all’ultima. In ciascuna di queste donne c’è una parte di me, c’è la mia esperienza anche forense (nei casi di violenza) ma tutte sono storie di redenzione, di nascita o rinascita, se vogliamo. Ogni donna deve sempre – a prescindere dall’ambiente in cui nasce – affrontare battaglie piccole o grandi per affermarsi, emergere o semplicemente sopravvivere. Queste sono le mie “Figlie di Eva”. Eva vista come madre generatrice di tutte le donne, al di là di qualsiasi connotazione religiosa, razziale o sociale. Vedo Eva come una madre laica, generatrice di donne buone o cattive, devote o traditrici, trasgressive o romantiche, indistintamente.
- Desidera presentarci il personaggio di uno dei racconti presenti nella raccolta?
Sono molto legata a tutte le figure che nascono dalla mia penna. Raccontare la storia di una di loro e trascurare le altre sarebbe un po’ come se una madre parlasse di una figlia senza menzionare le altre. Ognuna di loro vive e morde una vicenda. Lara, imbrigliata da un’educazione castrante spicca il volo dopo un travaglio interiore; Gaia è una vicenda che viene dalla mia esperienza in Tribunale. Molte donne vittime di violenza si nascondono, rinnegano, scappano, Gaia rappresenta un messaggio, una speranza: quella della donna che corre con i lupi, che attinge la forza da se stessa e si rialza ribellandosi alla violenza. Rosina, la protagonista dell’ultimo racconto è esistita davvero. Rosina era bellissima, come una rosa d’Inghilterra ed era una figura accentratrice nel senso migliore del termine, era un capobranco. Le sei vicende si srotolano nel tempo, come un gomitolo rosso. Tre di esse sono ambientate ai nostri giorni, le altre tre storie sono ambientate negli anni poco antecedenti la Grande Guerra, poi a metà degli anni ’20 e quindi all’alba della Seconda Guerra Mondiale. Ogni donna condivide con le sue sorelle un’identità profonda, il “femminino sacro” che ognuna di noi possiede nell’intimo e che sa venire fuori se ricercato con meticolosità e consapevolezza.
- Lei è un avvocato, come riesce a conciliare il Suo lavoro, sicuramente impegnativo, con il mestiere di scrittore, o meglio con la vocazione per la scrittura?
“Figlie di Eva” è nato in un mese o poco più. Scrivo per passione e nei ritagli di tempo, anche la notte a volte, perché il buio è per me sempre gravido di idee! La mia professione sta riprendendo incalzante specialmente negli ultimi tempi, dopo che i miei figli sono cresciuti, perché prima di essere un avvocato sono una madre. Non mi capita mai, però, di trascurare la professione per scrivere. Succede, talvolta, che al momento di un’ispirazione inaspettata ho l’urgenza di fissare tutto su carta, quindi ovunque io mi trovi con me ho un quaderno. Lo riempio di appunti, poi quando arriva il momento giusto li sviluppo con calma e diventano racconti o come sta accadendo in questo periodo, un romanzo breve cui mi sto dedicando e che procede con l’adeguata lentezza!
- Ylenia, 22 anni di Messina. Decide di lasciare il fidanzato e lui come risposta le dà fuoco. Grave in ospedale la giovane lo difende: «Non è stato lui». Per quale motivo sempre più uomini non riescono a concepire la possibilità di essere lasciati dalla fidanzata, compagna o moglie e come è possibile che una donna vittima di violenza possa anche solo immaginare che queste violenze siano una conseguenza dei propri errori e delle proprie mancanze?
Non essendo una psicologa è giusto che lasci ad altri le valutazioni tecniche del caso, però mi sento di parlare da donna e dire la mia senza pretese. Io credo che gli uomini capaci di usare violenza sulle donne siano deboli. Incapaci di affrontare situazioni di sofferenza e difficoltà se non attraverso un linguaggio – quello della forza fisica, spesso – che vede la donna soccombere per ovvi motivi. Le donne che invece non riescono a liberarsi degli atti di violenza fisica o psicologica (ai quali vengono sottoposte spesso in famiglia o dai propri compagni) sono schiacciate da altrettante fragilità. Ritengo sia importante crescere dei figli sereni, rispettosi dell’altrui libertà e con una buona autostima. Questi elementi permettono a un uomo di rispettare le scelte delle donne che lo circondano e permettono a queste ultime di non accettare compromessi violenti per sopravvivere a sentimenti insani.
sarà presentato il prossimo Sabato 21 gennaio, alle ore 11,00 presso la sede della Pro Loco di Roma, Via Giorgio Scalia, 10/b.
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